F.A.Q.

(Frequent Asked Questions)

 

 

Indice:

 

Deficit patrimoniale di accumulo

Politiche di bilancio (riserve occulte & annacquamenti patrimoniali)

La natura dei conti (le differenze tra le due classificazioni proposte a lezione)

Sottoscrizione del capitale e conferimenti in natura (la disciplina civilistica)

L'ipoteca (definizione elementare)

I fattori ubicazionali (*)

Le clausole di trasporto (*)

Le diverse impostazioni circa la NATURA dei CONTI in DOTTRINA (**)

Il prestito obbligazionario

Diverse tipologie societarie

 

 

(*) Ringrazio la dott.ssa Cristina Tedeschi dalla quale ho ripreso tali definizioni

(**) Ringrazio il prof. Stefano Coronella dal quale ho ripreso tali definizioni

 

 

 

1)      Cosa è il «deficit patrimoniale di accumulo»?

 

Il deficit patrimoniale di accumulo può essere operativamente definito come la differenze negativa tra le risorse che l'azienda ha accantonato nel tempo, in vista del rinnovo di un dato fattore produttivo specifico (pluriennale), e l'investimento necessario per il nuovo fattore produttivo.

Le risorse che l'azienda ha accantonato derivano dal processo di ammortamento (ossia il fondo ammortamento dello specifico cespite) e dal valore di cessione del bene stesso.

L'investimento necessario per il nuovo fattore produttivo non è altro che il costo storico del nuovo bene.

 

Un esempio numerico può essere utile per una migliore comprensione.

 

Poniamo che l'azienda Alfa decida di rinnovare un impianto di produzione:

costo storico                                                   lire 100

fondo ammortamento                                      lire 60

I dirigenti hanno deciso di acquistare un nuovo impianto, tecnologicamente più avanzato, alle seguenti condizioni:

costo nuovo impianto                                      lire 150

il vecchio impianto viene ritirato a                     lire   70

 

Facciamo il calcolo delle risorse che l'azienda è riuscita ad accantonare in vista del rinnovo:

dal processo di ammortamento:                       lire   60

dalla cessione del vecchio impianto                  lire   70

totale                                                              lire 130

Sappiamo anche l'entità dell'investimento necessario per il nuovo fattore produttivo:

costo nuovo impianto                                      lire 150

 

La misura del deficit patrimoniale di accumulo è data proprio dalla differenza tra queste due grandezze: (130 – 150) = – 20

Il deficit patrimoniale di accumulo in questo caso ammonta a lire 20.

 

In alcuni casi, gli amministratori, per fronteggiare questo fenomeno e prepararsi adeguatamente al processo di rinnovo degli investimenti strutturali, provvedono ad accantonare, anno per anno, delle risorse ad integrazione ideale del fondo di ammortamento.

Creano così il «fondo rinnovamento impianti»: a ben vedere, si tratta di una riserva impropria e, come tale, si tratta di conto derivato di natura finanziaria.

 

Riprendendo l'esempio precedente, supponiamo che gli amministratori, in vista della sostituzione dell'impianto, avessero pensato di accantonare risorse per lire 15 in uno specifico fondo rinnovamento impianti.

Come ben si capisce, il conteggio proposto poco sopra deve essere modificato. Infatti, avremo che le risorse che l'azienda è riuscita ad accantonare in vista del rinnovo sono ora:

fondo ammortamento:                            lire   60

fondo rinnovamento impianto                 lire   15

dalla cessione del vecchio impianto         lire   70

totale                                                     lire 145

 

L'entità dell'investimento necessario per il nuovo fattore produttivo resta invariata (lire 150).

 

La misura del deficit patrimoniale di accumulo (145 – 150) risulta ora ridotta a sole lire 5.

 

Come è agevole constatare, si tratta di un conteggio ben differente da quello che normalmente si fa quando si intende determinare l'eventuale plusvalenza o minusvalenza derivanti dalla cessione.

Quindi, occorre fare attenzione a non fare confusione. Infatti, in quest'ultimo caso, si confronta il valore residuo contabile (costo storico – fondo ammortamento) con il valore di cessione del bene.

Nell'esempio che si è poc'anzi proposto, il valore residuo contabile dell'impianto che l'azienda ha deciso di cedere ammonta a (100 – 60) = lire 40. Il suo prezzo di cessione è stato fissato in lire 70.

Il prezzo di cessione (70) supera il valore residuo contabile (40): quindi si determinerà una plusvalenza, pari a (70 – 40) = lire 30.

Ciononostante, abbiamo visto che siamo in presenza di un deficit patrimoniale di accumulo (pari a lire 20, nel caso senza il fondo rinnovamento impianti).

Ciò si spiega considerando che, nel calcolo del deficit patrimoniale di accumulo, si considera una variabile che, invece, viene tralasciata nel conteggio della plusvalenza/minusvalenza: il prezzo del nuovo impianto.

 

 

2)       Cosa sono le politiche di bilancio?

 

Generalmente, con questa espressione si fa riferimento all'atteggiamento di quegli amministratori che, forzando le naturali facoltà discrezionali in sede di redazione del bilancio di esercizio, tendono a influenzare la rappresentazione della situazione aziendale.

Da un punto di vista strettamente tecnico-contabile, le politiche di bilancio si realizzano mediante:

§         le riserve patrimoniali occulte, che si determinano sottostimando gli elementi patrimoniali attivi e/o sovrastimando un componente passivo;

§         gli annacquamenti occulti di patrimonio, che si attuano adottando un atteggiamento speculare (sopravvalutazione degli impieghi e/o sottovalutazione delle fonti).

Nel primo caso, il reddito e, quindi, il patrimonio aziendale risulteranno artificiosamente ridotti. Un effetto completamente opposto si ottiene con la politica di annacquamento patrimoniale.

Naturalmente, è opportuno precisare cosa si intenda per sottovalutazione o sopravvalutazione, con riferimento alle grandezze contabili. In via di prima approssimazione, si può sostenere che tali ipotesi si riscontrano ogni qual volta si eccedano i limiti – rispettivamente inferiore e superiore – dell'intervallo di valori ragionevolmente attribuibili allo specifico elemento patrimoniale.

 

Per chiarire il concetto è utile ricorrere ad un esempio.

 

Poniamo che l'azienda "Alfa spa", al 31/12/1999 presenti un saldo contabile del conto "Crediti verso clienti" per un valor nominale di 15.000 Euro. Supponiamo inoltre che, sulla base dei riscontri storici e considerando il probabile svolgersi della gestione, gli amministratori ritengano che il rischio di insolvenza possa essere stimato obiettivamente nel 2%.

Sulla base di queste considerazioni sarebbe funzionale procedere ad un accantonamento al "Fondo rischi su crediti" nella misura di (15.000 x 2%) = € 300

Qualora gli amministratori, forzando le naturali facoltà discrezionali, in sede di redazione del bilancio, intendano realizzare una riserva patrimoniale occulta per € 100, sarà sufficiente che procedano ad una sopravvalutazione artificiosa del rischio di insolvenza. Così accantoneranno allo specifico Fondo rischi su crediti non € 300, quanto reputano che sia obiettivamente corretto, ma € 400 (300 della misura funzionale più 100 necessari per ottenere l'effetto discorsivo).

Vediamo i riflessi a livello di prospetti di sintesi: proponiamo in verde la situazione funzionale e in rosso la situazione artificiale.

 

S.P.

 

C.E.

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Clienti             15.000

F.do rischi crediti 300

 

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Acc.to a f.do rischi crediti           300

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S.P.

 

C.E.

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Clienti             15.000

F.do rischi crediti 400

 

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Acc.to a f.do rischi su crediti            400

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Viceversa, se gli amministratori, sempre forzando le naturali facoltà discrezionali, avessero intenzione di realizzare un annacquamento occulto di patrimonio per € 150, basterebbe procedere ad una sottovalutazione del rischio di insolvenza. Quindi accantonerebbero al Fondo rischi su crediti non € 300, quanto reputano sia obiettivamente corretto, ma € 150 (300 della misura funzionale meno 150 necessari ad ottenere l'annacquamento desiderato).

Vediamo, anche in questo caso, i riflessi a livello di prospetti di sintesi: proponiamo in verde la situazione funzionale e in rosso la situazione artificiale.

 

S.P.

 

C.E.

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Clienti             15.000

F.do rischi crediti 300

 

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Acc.to a f.do rischi su crediti             300

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S.P.

 

C.E.

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Clienti             15.000

F.do rischi crediti 150

 

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Acc.to a f.do rischi su crediti             150

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Si può notare con facilità come nel primo caso si produca, di fatto, una sottovalutazione artificiosa del risultato di periodo: inserendo un costo superiore per € 100, a parità di altre condizioni, si peggiora il reddito di esercizio producendo un complessivo "impoverimento" del patrimonio aziendale.

Nel secondo caso, si sottovaluta un componente reddituale negativo: come effetto si ottiene una rappresentazione artificiosamente elevata (annacquamento) del risultato di periodo. In effetti, registrando un costo inferiore per € 150, a parità di altre condizioni, si attribuisce all'esercizio un reddito più elevato di quello funzionale, determinando un complessivo "arricchimento" (fittizio) del patrimonio aziendale.

 

 

Inevitabile, a questo punto, affrontare il tema della liceità o correttezza delle politiche di bilancio. In verità, la questione è assai controversa e dibattuta, quindi risulta impossibile da dipanare in poche righe. Tuttavia, è possibile proporre qualche riflessione di primo approccio.

Considerando la clausola generale del bilancio (art. 2423, II comma, c.c.), relativa alla chiarezza e alla rappresentazione veritiera e corretta, sembrerebbe preclusa ogni possibilità di utilizzo strumentale delle valutazioni. In effetti, così facendo si tende ad accreditare una rappresentazione non aderente alla realtà, tradendo i fini di attendibilità e neutralità imposti dal legislatore.

Se, invece, con l'espressione politica di bilancio si fa riferimento, come alcune volte accade, ad un semplice esercizio delle facoltà discrezionali, il giudizio cambia. In effetti, come sappiamo, l'esercizio delle facoltà discrezionali da parte degli amministratori è del tutto fisiologico, anzi essenziale per giungere ad apprezzare talune grandezze patrimoniali.

Quindi, tale espressione non sottende necessariamente un comportamento illegittimo. In questo senso, ci pare fondamentale sottolineare l'importanza di mantenere un atteggiamento problematico.

Molto, infatti, dipende dallo scopo che gli amministratori intendono perseguire: potrà essere funzionale o antifunzionale e, quindi, lecito o illecito.

In linea generale si deve comunque osservare che le politiche di bilancio occulte sono contro la legge.

In primo luogo, risultano contrarie allo spirito delle disposizioni sul bilancio. Inoltre, lo stesso codice civile, all'art. 2621, prende in esplicita considerazione il reato di "false comunicazioni sociali" che comporta anche la responsabilità penale degli amministratori.

In particolare, vengono espressamente condannati dal legislatore:

- l'esposizione nei bilanci di fatti "non rispondenti al vero [...] sulle condizioni economiche della società";

- la riscossione o il pagamento di utili fittizi in base ad un bilancio falso;

- la distribuzione di acconti su dividendi "sulla base di un bilancio o di un prospetto contabile falsi".

Nonostante ciò, si può cogliere con facilità l'evidente differenza che passa tra l'annacquamento patrimoniale e la riserva occulta.

La politica di annacquamento non deve mai essere intesa in termini favorevoli: in ogni caso, compromette l'integrità del patrimonio, realizzando un palese raggiro degli aventi diritto ed interesse.

Il secondo caso si presta a interpretazioni contrastanti.

Un approccio eminentemente giuridico conduce, inevitabilmente, alle medesime conclusioni.

Dal punto di vista economico-aziendale, invece, si producono argomentazioni più concilianti: infatti, è indubbio che, in alcuni casi, un tale atteggiamento è addirittura funzionale al raggiungimento e al consolidamento di posizioni di equilibrio economico durevole.

Si pensi alla circostanza, non rara peraltro, in cui, per la presenza di una base azionaria poco lungimirante, la realizzazione di riserve occulte rappresenti l'unico sistema per garantire alla combinazione produttiva i necessari flussi di autofinanziamento.

 

 

3)      La natura dei conti (le differenze tra le due classificazioni proposte)

 

Come sappiamo i conti si articolano in due grandi categorie: in conti originari e quelli derivati. I primi sono inerenti la liquidità e con i debiti e i crediti di tipo commerciale (ossia derivanti da operazioni di investimento): per questo sono denominanti conti numerari.

I conti derivati si riferiscono a grandezze finanziarie od economiche.


 

 

 


                                    ORIGINALI                                             DERIVATI

 

 

 

 


                       NUMERARI

         liquidità, debiti e crediti di funzionamento               FINANZIARI         ECONOMICI

accesi al:

capitale di credito

di finanziamento e

al capitale di rischio

 

Secondo la dottrina tradizionale, i conti numerari si dividono a loro volta in tre sottocategorie: certi, assimilati e presunti:

 

Certi

 

 


NUMERARI                          Assimilati

 

 

Presunti

 

Secondo un'interpretazione più pragmatica, i conti numerari possono distinguersi in certi ed incerti. Tra i primi rientrano soltanto la liquidità ed i debiti commerciali. Tra gli incerti gli altri, specialmente i crediti commerciali (gravati appunto dal rischio di insolvenza e quindi incerti nella loro conversione in liquidità).

I debiti commerciali, come si è accennato poco sopra, sono considerati conti numerari certi: ciò sulla base della considerazione che, secondo una corretta linea etica, il soggetto debitore onorerà certamente il suo impegno. Così, alla scadenza del debito (sostanzialmente, la promessa di liquidità) si produrrà sicuramente un'uscita di liquidità.

Certi

 


NUMERARI

 

Incerti

 

Naturalmente, resta valida l'obiezione di chi osserva che la volontà di onorare il debito non assicura che alla scadenza si avrà certamente il pagamento.

In altre parole, l'intenzione deve considerarsi condizione necessaria ma non sufficiente ad assicurare l'adempimento da parte del debitore.

Come noto, infatti, l'attività economica è un'attività soggetta ad una sensibile rischiosità che potrebbe pregiudicare l'esito dell'obbligazione, indipendentemente dalla volontà dell'obbligato. In termini più semplici, non è detto che il debitore (pur intenzionato ad onorare il debito) al momento della scadenza sia effettivamente in grado di far fronte al proprio impegno: nel frattempo, infatti, gli affari potrebbero essere andati male mettendolo nell'impossibilità di pagare.

 

In definitiva, le due classificazioni sono entrambe valide: non devono essere viste in contrasto, semplicemente rispondono a logiche differenti (non antitetiche, semmai complementari).

 

 

4)       Sottoscrizione capitale sociale e conferimenti in natura

 

Al momento della nascita, l’azienda deve essere dotata di un patrimonio, cioè dei mezzi necessari per il suo corretto funzionamento. Tali mezzi possono essere monetari o non monetari.

Nelle società commerciali, tale patrimonio apportato in sede di costituzione viene denominato “Capitale Sociale” e rappresenta la somma vincolata dai soci per lo svolgimento della gestione (nelle aziende individuali si parla invece di “capitale netto”). Il capitale sociale è rappresentato da “quote” o da “azioni” a seconda del tipo di società che viene costituito (quote nelle S.n.c., S.a.s., S.r.l.; azioni nelle S.p.A. e nelle S.a.p.A.)[1].

Sia le quote che le azioni rappresentano titoli di partecipazione al capitale di un’azienda societaria e danno luogo a diritti e a obblighi nei confronti del possessore[2].

Per le società cosiddette “di capitali” (S.p.A., S.a.p.A. e S.r.l.) il codice civile (c.c.) prevede un limite minimo per il capitale iniziale (artt. 2327 e 2474 c.c.) rispettivamente di 120.000 Euro (S.p.A., e S.a.p.A.) e di 10.000 Euro (S.r.l.).

La disciplina della sottoscrizione del capitale sociale è piuttosto complessa nelle società di capitali. Data la responsabilità limitata, salvo eccezioni, a carico dei soci, l’ordinamento giuridico prevede alcune regole da rispettare.

Innanzitutto, i soci, tramite la sottoscrizione del capitale si impegnano solennemente a conferire quanto promesso. La successiva liberazione può avvenire in denaro o in natura.

 

LIBERAZIONE IN DENARO

 

L’art. 2329 c.c. dispone che: “affinché la costituzione possa avvenire è necessario, oltre la sottoscrizione dell’intero capitale sociale, l’avvenuto deposito presso un Istituto di credito di almeno il 25% dei conferimenti in denaro”. Tale norma serve, ovviamente, a garantire la base minima di partenza per poter avviare la gestione.

Sottoscritto il capitale sociale, almeno il 25% delle prestazioni da eseguire in denaro vengono quindi depositati in un conto vincolato e vi rimarranno fino a che non sarà completata la costituzione della società. Il restante 65% può essere richiamato dagli amministratori in qualsiasi momento ne ravvisino la necessità.

 

LIBERAZIONE IN NATURA

 

Talvolta le quote dei soci vengono liberate “in natura” e cioè:

- con apporto di beni disgiunti, diversi dal denaro (immobili, merci, mobili, impianti, crediti, ecc.);

- con apporto di un’azienda già funzionante.

L’art. 2343 c.c. prevede che il valore del conferimento in natura debba essere comprovato da una relazione giurata di un esperto designato dal Presidente del Tribunale. Ciò al fine di evitare annacquamenti patrimoniali nella stima dei beni. Se la valutazione fosse lasciata alla discrezione dei soci apportatori, essi potrebbero approfittarne dichiarando un valore del bene superiore a quello effettivo, con conseguenze. Ciò permetterebbe loro di sottoscrivere una quota di capitale sociale più elevata rispetto a quanto avrebbero realmente diritto, provocando - in buona o in mala fede - una lesione agli interessi degli altri soci o dei terzi creditori.

In mancanza della relazione giurata il notaio non può effettuare la costituzione.

 

Come si diceva, la complessa procedura relativa al problema della valutazione dei beni oggetto del conferimento (disgiunti e congiunti) è indicata nell'art. 2343.

Anzitutto, il legislatore prevede che tali beni siano stimati da un soggetto esperto e terzo (ossia che non ha interessi nella questione, quindi neutrale): l'incarico di stimare i beni conferiti deve essere attribuito ad un esperto, facente parte del ruolo degli amministratori giudiziari, nominato dal Presidente del Tribunale competente per territorio.

L'esperto deve redigere una relazione peritale, da sottoporre a giuramento, contenente la descrizione dei beni, i criteri di valutazione seguiti e l'attestazione che il valore attribuito non è inferiore al valore nominale delle azioni emesse a fronte del conferimento.

Tuttavia, questo non è che il primo stadio dell'operazione.

Infatti, entro sei mesi dalla costituzione, gli amministratori ed i sindaci debbono procedere ad una sorta di controllo di congruità (correttezza) dei valori espressi dall'esperto.

Se la verifica evidenzia un valore di conferimento inferiore di oltre il 20 per cento a quello di stima (ad esempio se il conferimento valutato 100 viene stimato meno di 80, poniamo 75), si deve provvedere ad una revisione. In pratica si correggerà il valore del bene conferito e si annulleranno azioni per un valor nominale pari al minor valore riscontrato (nel caso ipotizzato poco sopra, il valore del bene viene ridotto da 100 a 75 e saranno annullate azioni per un valor nominale complessivo di [100 – 75] = 25. Conseguentemente il capitale sociale risulterà diminuito di 25)

In questo caso, il socio interessato dispone di tre distinte possibilità:

1)      recedere dalla società, recuperando il bene conferito con il conseguente annullamento delle azioni sottoscritte;

2)      mantenere la posizione di socio con una quota di partecipazione al capitale sociale rapportata al nuovo valore di conferimento (quindi minore: prima partecipava per 100, ora parteciperà per 75): in questo caso dovrà annullarsi un numero di azioni per un valore pari alla differenza tra le due valutazioni (ossia 25, come si è detto in precedenza);

3)      mantenere la propria partecipazione, versando la differenza in denaro (per continuare a partecipare per 100 dovrà versare 25 in contanti: per colmare la differenza che si è prodotta rispetto al valore originario del bene conferito).

Come si può rilevare, il quadro normativo risulta piuttosto complesso ed articolato. Ciò è dovuto all'esigenza di garantire gli interessi (tendenzialmente in conflitto) di varie categorie di soggetti: in particolare i soci ed i creditori sociali.

In altri termini, lo scopo prevalente è quello di evitare una sopravvalutazione ingiustificata dei beni conferiti, quindi il fenomeno patologico dell'annacquamento patrimoniale occulto. In questo modo il legislatore si assicura, in prima istanza, di tutelare, attraverso questo "meccanismo di sicurezza", l'integrità economico-finanziaria del patrimonio aziendale.

Com'è comprensibile, al legislatore interessa anche la salvaguardia degli interessi del singolo socio che potrebbe subire danni rilevanti nell'ipotesi di comportamenti illegittimi da parte della maggioranza. Da ciò la partecipazione alla seconda verifica anche del collegio sindacale (tale organo, infatti, dovrebbe essere neutrale; da più parti, però, si osserva che è pur sempre nominato dalla maggioranza in assemblea) e la possibilità di recesso del socio che non accetta la revisione del valore originario dei beni oggetto di conferimento.

 

 

5)       L'ipoteca

 

L'ipoteca è una particolare forma di garanzia, concessa da un debitore al creditore, che ha come oggetto di riferimento un bene immobile.

Oltre che gli immobili frequentemente sono oggetto di ipoteca anche i beni mobili registrati (navi, aeromobili, autovetture). Non necessariamente il bene deve appartenere al debitore ma può essere concesso anche da un terzo.

Qualora il debitore non provvedesse al pagamento del debito, l'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di far "espropriare" il bene ipotecato e di soddisfarsi, con preferenza rispetto agli altri creditori, "sul prezzo ricavato dall'espropriazione".

Un esempio elementare agevola la comprensione del concetto: il debitore ha garantito il suo debito, di L. 100 milioni, concedendo ipoteca su un proprio terreno. Qualora alla scadenza non fosse in grado di pagare il debito, il creditore fa espropriare e vendere all'asta il terreno ipotecato, rifacendosi sul ricavato.

In questa operazione egli sarà preferito agli altri creditori i quali potranno soddisfarsi sulla somma eventualmente rimasta.

Questo diritto si conserva anche quando il debitore vende il bene ipotecato.

L'ipoteca si costituisce mediante l'iscrizione del vincolo sui pubblici registri (conservatoria dei registri immobiliari, il cosiddetto "catasto").

Su uno stesso bene possono iscriversi più ipoteche per altrettanti crediti, ai quali viene assegnato un numero d'ordine: il "grado di ipoteca" (primo, secondo, ecc.).

I vari creditori ipotecari vengono soddisfatti secondo il grado di ipoteca.

Ad esempio, il sig. "A" creditore di 100 milioni, il sig. "B" creditore di 70 milioni ed il sig. "C" creditore di 50 milioni, sono garantiti con ipoteca, rispettivamente, di primo, secondo e terzo grado sullo stesso immobile. Se il loro debitore non onorasse i debiti, i creditori avranno il diritto di espropriare il bene, vendendolo all'incanto. Se il prezzo ricavato è di 200 milioni: "A" e "B" potranno soddisfarsi completamente mentre "C" solo per 30 milioni. Per i restanti L. 20 milioni egli potrà rifarsi, in posizione di parità con gli altri creditori, sugli eventuali altri beni del debitore.

 

 

6) I fattori ubicazionali.

 

A.     L’onerosità del trasferimento dei beni

    Tale fattore si riferisce alle fasi di acquisizione dei ff.pp. specifici e di collocamento delle conseguenti produzioni pronte per la vendita.

    La variabilità dell’elemento «distanza», il decidere cioè di insediarsi in una posizione più o meno vicina rispetto ai mercati di approvvigionamento o di vendita, non è privo di conseguenze.

    Il modello weberiano è incentrato sull’accertamento della localizzazione ottimale, la quale coinciderebbe col «punto di costo del trasporto minimo». Ovvero, quel particolare luogo dove, in linea teorica, dovrebbe realizzarsi la massima contrazione del gravame economico connesso alle richieste operazioni di trasferimento spaziale delle materie e dalle produzioni allestite.

    Di conseguenza, il variabile livello di onerosità sarebbe in stretta correlazione, nel contempo, con alcune componenti:

·        il peso fisico. Se i caratteri organolettici della materia prima impiegata sono tali da suscitare, una volta attuate le necessarie trasformazioni produttive, una notevole perdita di peso e di volume, l’azienda tenderà ad ubicarsi nei pressi delle sue fonti di produzione e viceversa;

·        il grado di deperibilità. Un bene di rapido deterioramento tenderà ad attrarre, nelle vicinanze dei luoghi di produzione, le aziende che se ne avvalgono;

·        il prezzo della materia prima rapportato all’unità di peso. Un bene di notevole valore sopporta costi di trasporto anche molto elevati e, dunque, il grado di incidenza di tali oneri sul costo d’acquisto dei beni incide, in termini proporzionali, assai meno rispetto a quelli palesanti opposte caratteristiche;

·        il rapporto tra il peso delle materie prime e quello dei prodotti finiti. Se il peso delle materie prime palesa un valore elevato, sono parimenti molto gravosi i relativi costi di trasferimento. Di conseguenza, l’azienda tenderà a localizzarsi nelle vicinanze dei luoghi di produzione delle materie prime. Nell’ipotesi opposta la combinazione produttiva tenderà ad insediarsi nei pressi del proprio mercato di sbocco;

·        il grado e lo sviluppo delle infrastrutture in rapporto alla contestuale possibilità di effettuare celermente le operazioni di carico e scarico, di imballaggio e di smistamento della merce;

·        le risorse energetiche, l’approvvigionamento idrico e le numerose difficoltà di ordine ambientale ed ecologico.

B.     Il lavoro umano

    Assume una notevole rilevanza localizzativi in relazione alle quantità ed alle differenti tipologie richieste dalla combinazione.

    Non sempre l’accesso a tale fattore è agevole poiché tale risorsa è, in linea generale, alquanto limitata. Ovvero, non sempre è presente per ciò che necessita, nel luogo ove si pensa di collocare l’azienda.

    Si tratta, dunque, di stabilire il limite di convenienza, cioè fino a che punto gli interessati (lavoratori ed aziende) sono in grado di sopportare le gravose implicazioni (ad es. l’acquisizione del fattore lavoro umano grazie a forme di incentivazione monetaria) scaturenti da tale fenomeno.

    Sul piano della professionalità, in rapporto alle proprie tipologie di produzione, l’analisi localizzativi si deve incentrare sul profilo quantitativo (dipendenti di modesta preparazione) oppure sul profilo specialistico (dipendenti con specifiche competenze tecniche).

    È necessario valutare anche le caratteristiche della variabile costi-rendimenti. Si deve tener presente che, elementi fondamentali che determinano il costo della manodopera emergono dai contratti collettivi di lavoro, a carattere nazionale ed aziendale. Di conseguenza, i margini di elasticità offerti dal mercato locale sono molto esigue, quasi inesistenti.

    Correlata con questa variabile è la componente motivazionale. Si tratta della capacità di stimolare positivamente il dipendente attraverso la predisposizione di idonei schemi organizzativi ed appropriate politiche di incentivazione.

C.     Le economie di agglomerazione

    Si tratta di un processo di concentrazione spaziale (attraverso atteggiamenti emulativi) legato alla presenza, in quella certa area geografica, di particolari fattori ubicazionali di carattere «agglomerativo».

Si distinguono due grandi categorie:

1.      le economie di urbanizzazione. Sono connesse a fenomeni di concentrazione territoriale di attività produttive appartenenti a settori operativi differenti. Tali benefici dipendono essenzialmente da:

·        palesi opportunità di inserimento offerte da mercati molto vivaci ed in continua espansione. Sorgono, quindi, favorevoli opportunità di collocamento di quote aggiuntive delle produzioni allestite, col vantaggio dell’accesso a maggiori economie di scala dovute all’ampliamento dei volumi produttivi e di reperimento di determinati ff.pp. di notevole pregio;

·        facilitazioni in campo bancario, assicurativo e comm.le;

·        possibilità di realizzare alcune «economie di relazione» in relazione a fruttuosi collegamenti comm.li a livello di mercato di approvvigionamento e di sbocco e di gestione in termini più ampi attraverso il ricorso a servizi esterni per il terziario avanzato, la ricerca, il marketing, etc.;

·        presenza, per aliquote piuttosto consistenti, del c.d. «capitale fisso sociale», cioè di quanto è stato creato nel tempo dall’insieme di interventi che hanno consentito di modellare favorevolmente un certo territorio attraverso il concorso di imponenti investimenti di natura pubblica;

2.      le economie di concentrazione territoriale. Derivano da un processo di concentrazione territoriale di attività appartenenti ad un determinato settore. Ovvero, dalla presenza e dall’azione di fenomeni esterni alla singola azienda ma interni a quel certo comparto economico.

    Tale situazione, attraverso l’aggregazione localizzativi di aziende minori legate da stretti vincoli di complementarietà produttiva, consente di ottenere processi di specializzazione, predisposizione di infrastrutture, meccanizzazione e formazione professionale altrimenti inibiti alla singola azienda.

    Inoltre, vi è la disponibilità di un più ampio potenziale locale di vendita.

    L’azienda non può prescindere dall’adozione di una mentalità di lungo andare nell’apprezzamento degli effetti che l’evolversi dei fenomeni agglomerativi potrà generare sull’economicità del sistema.

    Il processo, per molteplici ragioni, potrebbe svilupparsi con il decorrere del tempo in termini non del tutto fisiologici fino ad arrivare al patologico. Si determinerebbe così una pericolosa inversione di tendenza che porterebbe alla formazione di insidiose «diseconomie di agglomerazione», con la collegata esigenza di procedere alla messa in atto di appropriati interventi sulla localizzazione.

D.     Gli incentivi pubblici

    Si tratta di un fattore «sui generis», è del tutto estraneo alla combinazione, al di fuori delle possibilità di controllo da parte del soggetto responsabile. È difficile valutare i mutevoli effetti dei compositi provvedimenti pubblici di carattere agevolativo, finalizzati a suscitare determinati indirizzi organici a livello di insediamenti produttivi.

    Tali incentivi hanno una duplice finalità:

·        una valenza localizzativa, cioè l’insieme dei provvedimenti emanati a tale scopo assume la caratteristica di fattore ubicazionale;

·        contrastare con efficacia i fenomeni di saturazione localizzativa. Questi si possono manifestare nel tempo per vicende ed andamenti spontanei, in conseguenza delle economie di agglomerazione.

    Si tratta di elaborare ed attuare adeguate politiche di fronteggiamento degli effetti non desiderati, sul piano degli equilibri generali del sistema produttivo di una certa area geografica.

    Una situazione di instabilità o di notevole alterazione della collocazione territoriale dell’azienda provoca conseguenze anche altamente pregiudizievoli: oneri gravanti sugli enti pubblici deputati al mantenimento di soddisfacenti equilibri, disagi sociali, dipendenti dalla forte pressione a carico della zona depressa, etc..

    La validità di un incentivo, quindi la sua capacità di modificare gli abituali termini dei giudizi di convenienza concernenti l’ubicazione, dovrò essere apprezzata sotto molteplici profili. Vi dovrà essere un’idonea comparazione tra flusso di benefici scaturente dalla possibilità di fruizione dei vari incentivi presenti in una data area rispetto a quello derivante dalle aree già affermate in relazione al consolidamento di fenomeni agglomerativi. Nell’ambito delle valutazioni prospettiche, il soggetto deve quindi impegnarsi a superare la portata contingente dell’incentivo ed accertare, per quanto possibile, la sua capacità di costituire un valido strumento di attrazione di attività e risorse per suscitare i processi agglomerativi voluti.

    L’efficacia di un certo incentivo comporta obbligatoriamente un giudizio sul tipo di «ricettività» dell’ambiente rispetto all’insediamento di quella nuova iniziativa imprenditoriale (analisi degli aspetti sociologici, demografici, merceologici, tecnologici, dimensionali, localizzativi, organizzativi, etc.).

E.     La componente extra-economica

    Ha, da caso a caso, manifestazioni molto variabili ed imprevedibili sui concreti indirizzi di insediamento.

    Il comportamento aziendale è permeato da elementi di natura psicologica, in stretta connessione con le indicazioni proprie del carattere del soggetto aziendale. Tali elementi interferiscono con i dati e le conoscenze di natura tecnico-economica ed originano scelte contrastanti con i principi utilitaristici. Spesso il soggetto aziendale si trova in uno stato di forte incertezza, alcuni elementi sfuggono alla sua capacità di percezione, vengono valutati superficialmente o in modo distorto con conseguenti errori anche di notevole entità.

    In questi casi, ci si affida più all’esperienza ed all’intuito personale dell’imprenditore che alle risultanze di una rigorosa analisi di ciò che procura significativi riflessi economici sulla scelta finale. Di conseguenza, il risultato economico d’esercizio sarà una «reddito psichico».

 

7) Le clausole di trasporto.

 

Tempo, luogo di consegna della merce e ripartizione degli oneri

·        Consegna franco partenza o franco magazzino venditore: la merce viene consegnata dal venditore al compratore o ad un suo incaricato presso il proprio magazzino. Gravano sul compratore sia i rischi di trasferimento delle merci che gli oneri del trasporto.

·        Consegna franco destino o franco magazzino compratore: la merce viene consegnata dal venditore al magazzino del compratore. Gravano sul venditore sia i rischi che gli oneri del trasporto.

·        Franco stazione partenza: il venditore deve consegnare la merce presso la stazione di partenza. Sono a suo carico i rischi e gli oneri per far pervenire la merce alla stazione, mentre gravano sul compratore quelli riguardanti il carico sui vagoni ferroviari, il trasporto, lo scarico ed il trasferimento della merce dalla stazione d’arrivo al proprio magazzino.

·        Franco vagone partenza: il venditore deve richiedere il vagone e caricare su di esso la merce alla stazione di partenza. Le spese di trasporto, di scarico e di trasferimento fino al proprio magazzino gravano sul compratore.

·        Franco vagone arrivo: il venditore deve richiedere il vagone, caricare la merce e sostenere i costi ed i rischi del trasporto. Gravano sul compratore costi e rischi per lo scarico ed il trasferimento nel proprio magazzino.

·        Franco stazione arrivo: il venditore ha a proprio carico i rischi e le spese di carico; trasporto e scarico della merce fino alla stazione d’arrivo; il compratore deve sobbarcarsi l’onere ed i rischi del trasferimento della merce dalla stazione di arrivo al proprio magazzino.

·        Porto affrancato o porto franco: gli oneri del trasporto sono a carico del venditore. La merce è, quindi, libera (franca) dalle spese di trasporto.

·        Porto assegnato: le spese di trasporto devono essere pagate all’arrivo dal compratore.

·        Merce franca di dazio: il venditore si assume l’onere del pagamento del dazio e dei diritti doganali.

·        Merce schiava di dazio: il compratore deve sostenere l’onere del pagamento del dazio e dei diritti doganali.

 

Clausole

Spese e rischi relativi a

Trasporto dal magazzino del venditore alla stazione di partenza

Carico sul vagone

Trasporto ferroviario

Scarico dal vagone

Trasporto dalla stazione di arrivo al magazzino del compratore

Franco partenza

compratore

compratore

compratore

compratore

compratore

Franco stazione partenza

venditore

compratore

compratore

compratore

compratore

Franco vagone partenza

venditore

venditore

compratore

compratore

compratore

Franco vagone arrivo

venditore

venditore

venditore

compratore

compratore

Franco stazione arrivo

venditore

venditore

venditore

venditore

compratore

Franco destino

venditore

venditore

venditore

venditore

venditore

 

 

8) La natura dei conti (le diverse interpretazioni)

 

 

Ogni operazione di gestione deve essere osservata sotto due aspetti. Conseguentemente, avremo due serie di conti: i conti originari e quelli derivati.

Fino qui i diversi “sistemi” applicati al metodo della partita doppia combaciano.

Proseguendo nell’analisi, tuttavia, si possono riscontrare alcune significative differenze di ragionamento da un sistema ad un altro, pur giungendo alla medesima contabilizzazione.

 

Nella costruzione teorica dello Zappa, padre della moderna economia aziendale ed ideatore del sistema del reddito, l’aspetto originario è l’aspetto numerario, ovvero è rappresentato dal movimento del denaro e dei suoi assimilati.

In altre parole, l’ aspetto numerario riguarda la liquidità attuale (cassa, banca, posta) e differita (debiti e i crediti di tipo commerciale, ossia derivanti da operazioni di investimento): per questo sono denominanti conti numerari.

L’ aspetto derivato si riferisce invece a grandezze economiche, cioè a conti economici, che a loro volta si distinguono in conti economici di capitale (o “di netto”) e in conti economici di reddito (comprensivi dei crediti e dei debiti di finanziamento). I conti economici sono a loro volta distinti in  costi e ricavi di esercizio (che vanno a Conto Economico), conti di reddito con funzionamento bifase (immobilizzazioni, titoli, partecipazioni e crediti e debiti di finanziamento – che vanno a Stato Patrimoniale) e costi e ricavi di differita imputazione (rimanenze e risconti – che vanno a stato patrimoniale).

Come rilevato, si sottolinea pertanto che i conti accesi ai crediti e debiti di finanziamento, pur essendo considerati conti economici e realizzando “costi di finanziamento” e “ricavi di finanziamento” vengono inseriti nello stato patrimoniale.

 

 

Tradizionalmente, i conti numerari si dividono a loro volta in tre sottocategorie: certi, assimilati e presunti:

 

Certi

è

certi nell’ammontare e nel periodo di disponibilità (“Cassa” e conti strettamente assimilati come “banca c/c”, “posta c/c”)

 

Assimilati

è

incerti nell’ammontare o nel periodo di disponibilità (debiti e crediti di funzionamento come “deb. v/fornitori”, “cred. v/clienti”, ecc.)

 

Presunti

è

incerti nell’ammontare e nel periodo di disponibilità (fondi rischi, fondi spese future, ratei, ecc.)

 

In definitiva, avremo i seguenti conti:

 

                  

ORIGINARI (NUMERARI)

 

DERIVATI (ECONOMICI)

 

 

 

ííí

îîî

êêê

 

REDDITUALI

DI CAPITALE (del netto)

 

 

êêê

êêê

- Liquidità attuale (certi)

(cassa, banca c/c, posta c/c)

 

- Liquidità differita (assimilati)

(crediti verso clienti, debiti verso fornitori, altri crediti e debiti di regolamento)

 

- Ratei, fondi spese e rischi (presunti)

 

- Costi e ricavi d’esercizio

 

- Conti di reddito con funzionamento bifase

(immobilizzazioni, titoli e partecipazioni, crediti e debiti di finanziamento)

 

- Costi e ricavi di differita imputazione

(rimanenze e risconti)

 

- Conti economici inerenti il capitale di rischio

(capitale di rischio, riserve)

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Il Caramiello, nel tentativo di semplificare la questione, lascia praticamente inalterato il dato di fondo, adottando però una differente classificazione ed una terminologia, più intuitiva.

 

Ferma restando la distinzione fra i conti originari e quelli derivati, l’aspetto originario coincide con quello sopra esposto: è pertanto aspetto numerario, ovvero quello rappresentato dal movimento del denaro e dei suoi assimilati.

Ancora una volta, l’aspetto numerario riguarda la liquidità attuale (cassa, banca, posta) e differita (debiti e i crediti di tipo commerciale, ossia derivanti da operazioni di investimento e di vendita): per questo sono denominanti conti numerari.

L’ aspetto derivato si riferisce invece a grandezze finanziarie o economiche, a seconda che si giustifichino entrate o uscite di moneta – attuale o differite – connesse ad operazioni di finanziamento o ad operazioni di investimento e di vendita.

 


 

Il precedente schema assume pertanto la seguente configurazione (in rosso le differenze con il precedente):

 

                  

ORIGINARI (NUMERARI)

 

DERIVATI

 

 

 

ííí

îîî

êêê

 

ECONOMICI

FINANZIARI

 

 

êêê

êêê

- Liquidità attuale (certi)

(cassa, banca c/c, posta c/c, debiti di funzionamento)

 

- Liquidità differita (assimilati)

(crediti verso clienti, debiti verso fornitori, altri crediti e debiti di regolamento)

 

- Ratei, fondi spese e rischi (presunti)

 

- Costi e ricavi d’esercizio

 

- Conti di reddito con funzionamento bifase (pluriennali)

(immobilizzazioni, titoli e partecipazioni, esclusi crediti e debiti di finanziamento)

 

- Costi e ricavi di differita imputazione

(rimanenze e risconti)

 

- Conti inerenti il capitale di rischio

(capitale di rischio, riserve)

 

- Conti inerenti i crediti ed i debiti di finanziamento

 

 

 

 

 

 

 

Secondo un'interpretazione più pragmatica (COME SI PUÒ APPROFONDIRE AL PUNTO 3), i conti numerari possono distinguersi in certi ed incerti. Tra i primi rientrano soltanto la liquidità ed i debiti commerciali. Tra gli incerti gli altri, specialmente i crediti commerciali (gravati appunto dal rischio di insolvenza e quindi incerti nella loro conversione in liquidità).

 

I debiti commerciali, come si è accennato poco sopra, sono considerati conti numerari certi: ciò sulla base della considerazione che, secondo una corretta linea etica, il soggetto debitore onorerà certamente il suo impegno. Così, alla scadenza del debito (sostanzialmente, la promessa di liquidità) si produrrà sicuramente un'uscita di liquidità.

Certi

 


NUMERARI

 

Incerti

 

Questa è l’impostazione seguita a lezione.

 

 

Mi preme specificare, a scanso di pericolosi equivoci, che, naturalmente, il collocamento di tali conti nel bilancio resta identico per tutte le impostazioni adottate.

 

***

 

 

Radicalmente diversa è l’impostazione dell’Amaduzzi, che ha ideato il “sistema del capitale e del risultato economico”.

Seconda tale impostazione, i conti originari e quelli derivati sono rispettivamente conti finanziari e conti economici.

Tra i primi rientrano i conti numerari (la liquidità i debiti ed i crediti di funzionamento (commerciali) ed i valori accesi ai debiti ed ai crediti di finanziamento connessi al capitale di credito (esclusi pertanto quelli accesi al capitale di rischio).

I conti economici, invece, comprendono, oltre ai costi e ricavi, pluriennali e d’esercizio, i conti economici di capitale, che corrispondono ai conti finanziari accesi al capitale di rischio della precedente impostazione.

Lo schema, secondo questa interpretazione, assume pertanto la seguente configurazione (in rosso le differenze rispetto al precedente)

 

                  

ORIGINARI (FINANZIARI)

 

DERIVATI (ECONOMICI)

 

 

 

 

 

êêê

 

êêê

 

 

 

 

 

- Liquidità attuale (certi)

(cassa, banca c/c, posta c/c)

 

- Liquidità differita (assimilati)

(crediti verso clienti, debiti verso fornitori, altri crediti e debiti di regolamento)

 

- Ratei, fondi spese e rischi (presunti)

 

- Conti inerenti il capitale di credito di finanziamento (valori finanziari puri)

(crediti e debiti di finanziamento)

 

- Costi e ricavi d’esercizio

 

- Conti di reddito con funzionamento bifase (pluriennali)

(immobilizzazioni, titoli e partecipazioni)

 

- Costi e ricavi di differita imputazione

(rimanenze e risconti)

 

- Conti inerenti il capitale di rischio (conti economici di capitale)

(capitale di rischio, riserve)

 

 

 

Il collocamento di tali conti nel bilancio è identico alla fattispecie precedente.

 

Questa è l’impostazione seguita da molti libri di testo delle scuole superiori.

 

 

Vi chiederete: perché tante diverse impostazioni? Perché ogni autore ha sperato di creare un sistema più semplice, intuitivo e rigoroso di chi lo ha preceduto.

Ognuna di esse ha, ad evidenza, punti di forza e punti di debolezza rispetto alle altre.

Come avrete notato, il problema fondamentale è rappresentato dai crediti e debiti di finanziamento, che ogni impostazione tratta in maniera diversa.

 

In ogni caso, pur in presenza di una diversa base logica di ragionamento, le scritture in partita doppia coincidono utilizzando qualsivoglia sistema.

 


9) Il prestito obbligazionario

Le Società per Azioni e le Società in Accomandita per Azioni hanno la facoltà di ricorrere direttamente al mercato finanziario. E ciò con la contrazione di mutui speciali denominati OBBLIGAZIONI.

Un esempio elementare può chiarire il concetto: una società necessita di un milione di euro ed emette centomila obbligazioni di 10 euro ciascuna, all'interesse del sette per cento; pertanto ogni obbligazionista riceve un numero di obbligazioni corrispondente alla somma data a mutuo alla società.

L'obbligazione, quindi, non rappresenta una quota di partecipazione al capitale della società, ma un diritto di credito che l'obbligazionista vanta nei confronti della società. Quest'ultimo, pertanto, ha diritto a percepire periodicamente l'interesse stabilito e, alla scadenza, alla restituzione della somma prestata.

Talvolta la società, per invogliare i risparmiatori, emette le obbligazioni "sotto la pari". Perciò riceve una somma inferiore al valore nominale, fermo restando il suo impegno a rimborsare, alla scadenza, il valore nominale

Si ricordi, invece, che le azioni non possono emettersi ad un prezzo inferiore al valore nominale. Questo per evitare il pericoloso fenomeno dell'«annacquamento» di capitale che altererebbe la base di garanzia dei creditori sociali.

Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori[3].

Con l'emissione di obbligazioni la società si rivolge al mercato finanziario, sollecitando correttamente i piccoli risparmiatori.

La società può emettere obbligazioni per una somma complessiva non eccedente il doppio del capitale sociale, la riserva legale e le riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato (art. 2412 co. 1°).

Tale limite:

- può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali (chi successivamente le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori istituzionali).

- può essere superato anche nel caso in cui il prestito obbligazionario sia garantito da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società.

-  non si applica all'emissione di obbligazioni effettuata da società le cui azioni siano quotate in mercati regolamentati.

Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a quanto previsto dal sopra citato limite

 

La legge prevede una organizzazione unitaria degli obbligazionisti di società commerciali, che opera attraverso due organi: 1. l'assemblea degli obbligazionisti; 2. il rappresentante comune degli obbligazionisti.

L'assemblea degli obbligazionisti (artt. 2415 e 2416) decide su tutti gli argomenti d'interesse comune, ed in particolare sulle proposte della società che intende rivedere le clausole del prestito o che chiede l'amministrazione controllata o il concordato.

Il rappresentante comune (artt. 2417 e 2418) è nominato dall'assemblea degli obbligazionisti (art. 2415 n. 1): ne esegue le deliberazioni e ne rappresenta gli interessi comuni nei rapporti con la società.

 

LE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI (I "WARRANTS")

Si tratta di obbligazioni che attribuiscono ai possessori una duplice alternativa.

Questi possono scegliere di restare semplici creditori, ottenendo alla scadenza il rimborso della loro quota, o di sottoscrivere, secondo un rapporto di cambio prestabilito, azioni della stessa società. In quest'ultimo caso si trasformano da creditori in soci, con tutte le conseguenze, in termini di rischi ed opportunità, che ne seguono.

Le obbligazioni convertibili - al pari delle azioni ma a differenza delle obbligazioni comuni - non possono emettersi "sotto la pari".

Anzi, proprio per perequare il trattamento con i sottoscrittori di un eventuale aumento di capitale, normalmente vengono emesse con un sovrapprezzo rispetto al valore nominale, consentendo alla società di realizzare un "aggio di emissione".

 

10) Scheda sintetica sulle diverse tipologie societarie

Società di persone

Si tratta delle forme sociali “meno evolute” ove, a fronte di obblighi giuridico-formali meno pesanti, si ha normalmente un regime di responsabilità patrimoniale più gravoso per i soci.

Le società di persone più diffuse sono:

Società in nome collettivo (S.N.C.): normalmente le decisioni sociali sono prese all’unanimità. I soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali. Ciò in pratica significa che il creditore sociale, dopo aver tentato invano di avere soddisfazione rivalendosi sul patrimonio sociale, potrà “aggredire” il patrimonio personale dei soci.

Società in accomandita semplice (S.A.S.): si differenzia dalla S.N.C. perché sono previste due categorie di soci: i soci accomandatari e quelli accomandanti. Questi ultimi sono soci a tutti gli effetti salvo per il fatto che non partecipano attivamente alla gestione societaria (se non per affari circoscritti e su specifica delega). A fronte di questa limitazione hanno il vantaggio del regime della responsabilità limitata: ossia rischiano solo il capitale conferito in azienda e non anche quello personale. I soci accomandatari invece si occupano direttamente della gestione e sono sottoposti a regime di responsabilità “piena”, ossia come quelli della SNC. Se un socio accomandante, contravvenendo alla disposizione di legge, partecipa alla gestione  societaria, perde il privilegio della responsabilità limitata e passa a regime di responsabilità “piena”.

 

Società di capitali.

Si tratta delle forme sociali più evolute ove, a fronte obblighi giuridico-formali più pesanti, si ha un regime di responsabilità limitata dei soci. In altre parole, si realizza una scissione completa tra la figura giuridica della società (che quindi ha obblighi e diritti  individuali ed autonomi rispetto a quelli dei soci) e quella personale dei soci. In gergo si dice che queste società sono dotate di autonomia patrimoniale.

Le società di capitali più diffuse sono:

Società per azioni (S.P.A.). Si tratta della forma sociale più evoluta. Possono emettere obbligazioni. Possono essere quotate sui mercati regolamentati (in Borsa). Il capitale è rappresentato da azioni, ossia titoli cartacei che incorporano il diritto di proprietà di una frazione del patrimonio aziendale. In altre e più chiare parole: quando si compra un’azione si ottiene un certificato cartaceo che ci attribuisce la proprietà di una frazione dell’azienda che l’ha emesso. Come premesso, in questa tipologia societaria si realizza una scissione completa tra patrimonio personale dei soci e quello della società. Quindi i soci saranno responsabili limitatamente al patrimonio conferito e non vedranno esposto a rischi il proprio patrimonio personale. Tra l’altro si tratta della forma giuridica necessaria per svolgere particolari tipi di attività (ad esempio bancaria e assicurativa).

Società e responsabilità limitata (S.R.L.). Molto simile alla S.P.A. ma più snella nelle procedure e negli obblighi. A differenza di questa non può emettere obbligazioni (tuttavia la recente riforma del diritto societario ha previsto che questa società possano finanziarsi con strumenti finanziari molto simili alle obbligazioni) e non può essere quotata sui mercati regolamentati. Non esistono le azioni e quindi i soci non disporranno dei vantaggi connessi al possesso di un titolo cartaceo negoziabile. Il capitale è diviso in quote.

Società in Accomandita per Azioni (S.A.P.A.). La disciplina è mutuata da quella delle S.P.A.. L'unica differenza riguarda il regime di responsabilità dei soci che è uguale a quello descritto per le S.A.S. Quindi esistono le due tipologie di soci con responsabilità patrimoniale differenziata.

 

 



[1] S.n.c. = Società in nome collettivo; S.a.s. = Società in accomandita semplice; S.r.l. = Società a responsabilità limitata; S.p.A.= Società per azioni; S.a.p.A. = Società in accomandita per azioni.

[2] La sostanziale differenza fra le quote e le azioni risiede nella maggiore capacità di circolazione delle seconde rispetto alle prime e nella possibilità di creare categorie diverse di azioni (ordinarie, privilegiate, di risparmio, di godimento, di lavoro), mentre esiste un unico tipo di “quota”.

[3]           E' necessario determinare anche il "piano di rimborso" cioè stabilire le scadenze e le modalità di rimborso.